domenica 27 ottobre 2013



Preservation Hall & New Orleans

 


La Preservation Hall, al 726 di St. Peter St. nel quartiere francese di New Orleans, è il bastione, il tempio del jazz tradizionale. Ma la ex galleria d'arte è molto più che un semplice museo dove clarinetti e banjo mantengono vive le radici del jazz. La Preservation Hall Jazz Band deve il suo nome a questa sala leggendaria; la band ha viaggiato in tutto il mondo diffondendo la loro missione di alimentare e perpetuare la forma d'arte del jazz di New Orleans. Suonata alla Carnegie Hall o al Lincoln Center, per la Famiglia reale britannica o per il re della Thailandia, questa musica incarna uno gioioso spirito immortale.

Fondata cinque decenni fa dal musicista di tuba Allan Jaffe e da sua moglie, Sandra, per mettere in mostra la musica, insieme alla Preservation Hall Jazz Band, composta da musicisti veterani, la Spartan Hall è una palestra, un banco di prova, un terreno sacro che, sotto la gestione del figlio dei Jaffe, il bassista e bandleader Ben, è riuscita non solo a sopravvivere, ma anche a prosperare, preservare, proteggere e far progredire il jazz tradizionale di New Orleans.


La ricerca del "vero jazz" attirò molti nordisti a New Orleans negli anni '50 e '60. Due di loro furono Alan e Sandra Jaffe, che arrivarono nel 1961, attratti dalla cultura dinamica della città. Come nordisti, i coniugi Jaffe furono inorriditi nel vedere il livello di segregazione nella città in quel momento. Alle persone bianche e di colore veniva spesso vietato di ascoltare musica negli stessi club, ed ai musicisti di razze diverse era vietato suonare insieme, attraverso le leggi sui liquori e altre arcane misure.

Poco dopo il loro arrivo, la coppia si riunì con altre persone che la pensavano come loro e che avevano avviato un gruppo chiamato Society for the Preservation of Traditional New Orleans Jazz. Jaffe, che era sia diplomato ad una scuola commerciale che un musicista di fiati, pensava di poter combinare le sue conoscenze e il suo talento per promuovere la musica che tanto amava. 
Così riuscì a diventare il manager del gruppo ed occasionalmente a suonare la tuba. Facendo le cose in maniera più minimale possibile alla Preservation Hall, niente bevande, niente cibo, niente sala da ballo, riuscì ad evitare la maggior parte delle leggi segregative. Poco dopo, la band iniziò a registrare i suoi primi dischi e a girare per il mondo.
Naturalmente, questo portò qualche brontolio da parte degli esperti jazz locali, che si domandavano dell'effetto dei bianchi nordisti sulla loro musica, ma molti di essi furono conquistati dal sincero impegno di Jaffe per la loro musica e per i loro musicisti.
Benchè Jaffe non inventò la Preservation Hall, la sua capacità di businessman contribuì a farla diventare una Istituzione. Dai primi anni '70, persone di tutto il mondo andavano in pellegrinaggio al 726 di St. Peter Str. Ad un certo punto, cinque diversi gruppi della Preservation Hall erano in tour contemporaneamente.


Gli anni '80 furono un periodo difficile per la band, con la morte di molti dei protagonisti, tra cui lo stesso Allan Jaffe, che morì all'età di 51 anni nel 1986. Sandra lo sostituì per un po', ma sapeva che la vera speranza della band era il figlio Ben. 
Suonatore di tuba come il padre, Ben Jaffe era cresciuto con la Pres Hall Band e rispettato non solo per la sua eredità musicale. Dopo la sua laurea alla Oberlin nel 1993, ritornò in città, per assumersi le responsabilità della sua famiglia, compresa la band.
Jaffe comprese che il gruppo doveva cambiare un pò le cose.
Così iniziò a registrare molto di più, a reclutare giovani musicisti provenienti da New Orleans e collaboratori di fuori città, ed avviare progetti per celebrare e riconoscere la musica che aveva definito il viaggio delle sua famiglia.
Non è un caso che nei suoi 50 anni come collettivo di lavoro, la Preservation Hall Jazz band abbia pubblicato solo 19 album. Di questi, più della metà sono stati pubblicati dopo il 1994, quando la band fu rilevata da Ben che allora aveva solo 22 anni. 


Come ha scritto lo stesso Ben Jaffe "Ho grande piacere, che una canzone che è stata interpretata, reinterpretata ed eseguita per anni sia ancora fresca e nuova come il giorno in cui è nata... E' qualcosa che fa la musica ... allungare il tempo, sovrapporre tradizioni, cambiare la storia... La musica di New Orleans è piena di significati... è vitale e piena di vita, può essere felice e gioiosa, può essere triste e lugubre, non ha barriere linguistiche. Offre un messaggio universale che noi, la Preservation Hall Jazz Band, portiamo con noi ovunque andiamo." 



lunedì 21 ottobre 2013



Dock Boggs


Il signore in questione è tra i capostipiti del country-blues-hillbilly bianco degli Appalachi, un mito del prewar folk.
Siamo negli anni '20 e l'America è un paese in crisi e in forte depressione economica, specie il Sud, una zona ancora tendenzialmente rurale, dai forti contrasti razziali e dalle numerose miniere di carbone.
Non solo contrasti tra i bianchi e gli afroamericani, ma molti anche i punti di contatto e le similitudini nella vita, come nella musica, dove molti bianchi del Sud si trovarono a vivere nelle stesse condizioni di vita dei neri afroamericani e a riprendere il blues acustico del Mississippi per rivisitarlo in chiave country.
Dock Boggs era uno di questi. Misconosciuto cantante e banjoista, originario del Virginia, dove nacque nel 1898, ebbe una vita a dir poco travagliata che lo vide dapprima minatore all'età di dodici anni, poi contrabbandiere di whisky, musicista fallito e poi ancora minatore sindacalista.
La sua carriera è convenzionalmente divisibile in due tronconi: quello degli anni '20, in cui tentò in tutti i modi di sbarcare il lunario con la musica, incidendo per varie etichette, ma senza grandissimo successo e quello degli anni '60, dove grazie l'interesse di Mike Seeger, fratello di Pete, fu oggetto di una vera e propria riscoperta con tanto di incisioni per la Smithsonian/Folkaways, storica etichetta di musica tradizionale americana.


Dicevamo della prima fase della sua vita che lo vide più che altro impegnato a sopravvivere tra sparatorie varie, ubriacature moleste e soggiorni nelle patrie galere. La passione per il banjo era la sua unica valvola di sfogo, la via per raccontare  le storie di violenza, alcool e povertà con cui si scontrava quotidianamente. Ovviamente il banjo, che peraltro suonava con maestria e con una tecnica originalissima, non dava però da mangiare. Quindi dopo qualche registrazione nei tardi anni '20, smise di incidere "preferendo" le miniere e le lotte sindacali.
Poi, fino al 1963 il silenzio.
Solo dopo l'interesse di Pete Seeger (e grazie all'ondata di folk-revival che colpì gli States nei '60) che lo volle proprio in quell'anno all'American Folk Festival di Asheville, riprende il banjo in mano e ritorna a tracciare melodie rurali, secche e scheletriche, ossessivamente dissonanti. La sua voce claudicante è resa più afona e cruda dagli anni e dalle sofferenze che la vita gli ha riservato, tuttavia il suono del suo banjo arriva alle orecchie e al cuore. 


Dock Boggs capì che la bellezza intrinseca, la poesia e la semplicità delle ballate, importate o native, con o senza accompagnamento strumentale, potevano essere non solo preservate intatte ma perfino accentuate se sposate alla forza evocativa ruvida, essenziale ed immediata del blues delle origini.
Le 'blues-ballads' di Boggs rivelano due precisi punti di partenza: il repertorio raccolto dal canto occasionale della madre e delle sorelle e l'amicizia stretta col vicinato di colore, soprattutto con due chitarristi, tali Go Lightening e Jim White.
 La sintesi di ambedue queste espressioni musicali, il collage di frammenti di brani tradizionali bianchi e l'uso di accordature modali particolarissime, attraverso le quali il banjo sembra imitare la chitarra blues, hanno dato origine a Down South Blues, a Sugar Baby, a Pretty Polly, al capolavoro di Country Blues (il tradizionale Hustlin' Gambler avvolto in un sudario blues), vero e proprio manifesto sonoro di uno stile. 


domenica 20 ottobre 2013



Matewan (1987)
Matewan è un film drammatico statunitense del 1987, scritto e diretto da John Sayles, sui fatti relativi al  cosiddetto massacro di Matewan avvenuto nel 1920 in West Virginia durante uno sciopero di minatori.
La cittadina mineraria di Matewan è dominata dalla Società Stone Mountain Cole. 
La società crea la maggior parte delle opportunità di lavoro in città, fornendo occupazione anche per i lavoratori non qualificati, come i minatori.
La Stone Mountain Cole ha però chiesto ai lavoratori di firmare un contratto che ha imposto forti  restrizioni.
 La vita di un minatore a Matewan è dura in quanto deve lavorare sia per guadagnarsi da vivere, sia per pagare il debito istituito dalla società che non solo possiede la maggior parte della città, ma condiziona la morale ed i pensieri dei suoi lavoratori. 
La società ha convinto i lavoratori su ciò che è "moralmente giusto" e ciò che è "moralmente sbagliato" (come ad esempio i sindacati). Inoltre manipola a suo piacimento il prezzo del carbone.
  Quando i minatori si stanno organizzando in un loro sindacato la compagnia annuncia il taglio dei salari e la sostituzione di tutti coloro che si uniranno al sindacato con nuovi lavoratori composti da emigranti italiani e di colore.
Ne nascerà uno scontro sempre più violento che culminerà in uno sciopero soffocato nel sangue.
Il film affronta tematiche come la critica alle concentrazioni economiche, i temi della cooperazione interrazziale  e della legittimità o meno dell’uso della violenza nelle lotte contro l’ingiustizia.
Fotografia e musiche creano una struttura visiva realistica e rendono il film una pietra miliare del cinema indipendente.


mercoledì 9 ottobre 2013



Jimmie Rodgers

 


Jimmie Rodgers è l'artista che ha allontanato la musica country del Sud dalla tradizionale matrice rurale e montanara, conducendola in un'altra orbita e lasciando dietro di sé una traccia ancora evidente e rimarchevole.
La sua figura nel mondo musicale degli anni Venti fu importante perlomeno per due aspetti. Il primo è il background musicale, nel quale un ruolo importante era rappresentato dalla musica dei neri, soprattutto il blues e le ‘railroad work songs’; l'altro è l'atteggiamento commerciale e lo sviluppo del concetto di star discografica che scatenerà le fantasie ed i desideri di tanti aspiranti cantanti e musicisti.
Una caratteristica peculiare dello stile di canto di Rodgers è stato il cosiddetto ‘blue yodeling’. L'origine di questo stile è tuttora ignota: difficile stabilire se si sia trattato di una creazione dello stesso Jimmie Rodgers o sia stato ripreso dallo yodel svizzero o austriaco, da stili di canto dei messicani o dei cowboy, dai ‘field hollers’ o dagli ‘work shouts’. Rodgers, all'età di quattordici anni, aveva cominciato a fare il portatore d'acqua per i lavoratori neri delle ferrovie e potrebbe avere ripreso da loro quelle forme rudimentali di canzoni, simili a grida, che rompevano in un falsetto, nate e diffuse nel Sud tra gli schiavi delle piantagioni.
Dunque, yodeling e blues. Il contatto con i neri e l'influenza della loro musica lo portò a perfezionare il white blues e ad imporsi con uno stile di canto che sarebbe divenuto il suo carattere distintivo.



James Charles Rodgers era nato a Meridian, Mississippi, l'8 settembre del 1897.
A parte un breve periodo in cui fece il cowboy, lavorò nelle ferrovie (suo padre era un operaio della Mobile & Ohio Railroad) prima come portatore d'acqua e poi come frenatore ('brakeman'), lavoro che dovette abbandonare nel 1925 perché colpito dalla tubercolosi.
Fino a quel momento le sue esperienze musicali erano state rare e non professionistiche. Tra il 1925 ed il 1927, anno delle storiche registrazioni di Bristol, si era unito dapprima ad un medicine show come blackface entertainer, girando le zone rurali e montane del Sud; fece poi una breve esperienza in una radio locale ad Asheville, North Carolina, dove si esibiva con i Jimmie Rodgers Entertainers, un gruppo composto da lui e da Jack Pierce & The Grant Brothers; successivamente fece l'investigatore privato, finché nel 1927 ci fu l'incontro con Ralph Peer.
La storia dice che a Bristol il provino doveva essere sostenuto con i J.R. Entertainers, ma Jack Pierce il giorno prima aveva deciso di fare a meno di Jimmie, il quale si esibì da solo, accompagnandosi con la chitarra ed eseguendo musica non tradizionale, ma del repertorio popular urbano. Per le prime due incisioni per la Victor, che fecero un grosso effetto su Peer soprattutto grazie all'uso dello yodeling nella seconda di esse, Rodgers scelse due brani molto sentimentali, The Soldier's Sweetheart e Sleep, Baby, Sleep.
La risposta del pubblico non fu immediata, ma già verso la fine del 1927 la popolarità di Jimmie Rodgers andava crescendo in maniera eccezionale, e per la Victor si profilava un affare senza precedenti. 


Il primo vero blue yodel fu T For Texas (o Blue Yodel n. 1) inciso sempre nel 1927, con la struttura tipica del blues (tre versi di cui il secondo ripetizione del primo); ma alla conclusione del terzo verso la voce si rompeva nel suo caratteristico yodeling.
Nel corso della sua breve attività Rodgers non incise soltanto blue-yodels, ma anche ballate, canzoni comiche e romantiche, cowboy song, spesso da lui stesso composte; ma quasi mai canzoni riferite ad argomenti religiosi.
Sono molti i motivi del successo di Jimmie Rodgers. Uno è da ricercare nell'impatto scenico di questo giovane dal marcato ed inequivocabile accento del Sud, in grado di intrattenere il pubblico con il solo ausilio della voce e di una chitarra. E poi i temi delle sue canzoni, dai quali emerge la nostalgia: delle piccoli città e dell'America rurale di una volta; di una madre costretta a lasciare il piccolo, vecchio centro del Sud della sua infanzia. E poi ancora scene di hobos solitari morenti, o in attesa del treno merci proveniente dal Sud: tutta una varietà di situazioni nelle quali tante persone potevano facilmente identificarsi.
Il suo pubblico era formato soprattutto da abitanti delle regioni rurali meridionali, poveri contadini che anche negli anni della Depressione trovavano i soldi per comprare i suoi dischi e che ne fecero un eroe ed un mito. 


Alla sua morte, Rodgers era ancora uno sconosciuto per la gran parte degli americani.
Sembra incredibile se si pensa che dei suoi dischi erano stati venduti venti milioni di copie, ma la popolarità allora si guadagnava molto anche con le apparizioni in pubblico e queste erano circoscritte alle regioni del Sud. L'attività concertistica di Jimmie Rodgers fu infatti pesantemente condizionata dal suo stato di salute, che andò progressivamente peggiorando fino alla morte, il 26 maggio del 1933, appena due giorni dopo la sua ultima incisione in studio, a New York.
L'influenza di Jimmie Rodgers fu enorme. La sua carriera si svolse a cavallo degli anni della Depressione, quando le vendite globali di dischi subirono una forte flessione, mentre quelle di dischi di country music si mantennero su livelli abbastanza elevati. Questo grazie anche e soprattutto a Jimmie Rodgers, che ridestò interesse verso questa musica, influenzando direttamente o indirettamente un numero elevato di performers che ne imitarono lo stile di canto, i temi, i modelli compositivi. E se da una parte c'erano gli aspiranti al successo, che avevano verificato come uno di loro, limitandosi a riprodurre con semplicità una musica che descriveva il loro stesso mondo, fosse divenuto ricco e famoso, dall'altra c'era il suo pubblico, che ‘sentiva’ i suoi brani al punto di impossessarsene e presentarli magari ai ricercatori sul campo della Library Of Congress come tradizionali.
 

sabato 5 ottobre 2013

Stand by me




Ricordo di un’estate

"Secondo voi..Paperino è un papero, Topolino è un topo, Pluto è un cane, ma cos'è Pippo?"   

 

Tratto da una dei racconti del re dell’horror Stephen King (Il Corpo, contenuto nel libro Stagioni diverse), Stand by me è una storia di trapasso generazionale, che vede quattro dodicenni partire alla ricerca del cadavere di un coetaneo, alla fine degli anni Cinquanta, mossi dalla curiosità e dalla possibile celebrità.
Tutti e quattro i ragazzi iniziano questa avventura, sapendo che al termine, probabilmente non si vedranno più. Hanno finito la scuola e, alcuni lavoreranno, altri continueranno a studiare: le loro strade si divideranno e nulla sarà più come prima.
Seguendo per un giorno e una notte le rotaie di un treno, tra piccole e grandi avventure, cementano un’amicizia destinata alla dura prova delle circostanze.
Tale viaggio si trasformerà da iniziale gioco ad una sorta di riflessione sulla vita di ogni ragazzo. Ogni personaggio è quasi costretto a mettere a nudo le proprie difficoltà, i conflitti col mondo degli adulti. Per ritrovarsi diversi, trasfigurati, all’ingresso del nuovo tempo della loro vita.


Un racconto elegiaco e nostalgico, che scavalca l’infanzia e arriva all’adolescenza.
Un tempo di formazione leggero e frastornante, melodico e urlante, in cui Rob Reiner, attraverso una sceneggiatura essenziale, filma le emozioni con semplicità e naturalezza.

La bellissima colonna sonora tempestata di vecchie hit è un’omaggio agli anni 50.
La canzone di Ben E. King, evocata dal titolo, si libera solo sui titoli di coda, ma lascia comunque una suggestione circolare, in quanto la melodia interviene anche nell’introduzione, e fa capolino, lieve e nostalgica, quasi impercettibile, in altri momenti della pellicola.

Stand by me resta uno dei migliori film sull’infanzia-adolescenza arrivati sul grande schermo, diventato nel tempo un piccolo cult soprattutto per la generazione degli anni ottanta.



 

 "Un giorno tu sarai un grande scrittore Gordie, potrai anche scrivere di noi se sarai a corto di idee"
"Dovrei proprio essere a secco di idee"