mercoledì 26 novembre 2014



Frederic Remington


Nato nel 1861 nei dintorni di Canton, New York, è stato uno dei più grandi pittori del west.
Figlio di un eroe della Guerra Civile americana e di una giovane borghese di ricca famiglia, Remington mostrò fin da piccolo la sua innata passione per i cavalli e per le cose militari al punto che per i genitori fu assolutamente naturale mandarlo ad un'accademia militare per proseguire con gli studi secondari.


Pervaso da una irrefrenabile passione per l'arte e dotato di una non comune capacità di rappresentare qualunque soggetto e ambientazione, provò a dotarsi degli strumenti teorici disponibili a quel tempo frequentando alcuni selezionati college, ma alla fine preferì mollare tutto e partire per l'avventura verso il west. 


Non dobbiamo dimenticare che si parla di tempi eroici in cui ancora la frontiera non era stata completamente esplorata e le principali guerre indiane non erano state combattute. 
Vide un'infinità di posti memorizzandone i dettagli, si procurò fotografie di ogni dove, si fece raccontare tutto sulla frontiera e sugli uomini che li rischiavano la vita. 


E disegnò, pitturò e incise il bronzo. Centinaia di tele hanno descritto, attraverso i decenni della sua piena attività, ogni angolo di vita dell'old west americano: indiani, cow-boys, rancheros, agguati, battaglie, cariche, silenzi, paesaggi, bestiame.



La gran parte delle opere è esposta presso Ogdensburg nella casa della famiglia Remington, trasformata nel "Frederic Remington Art Museum", ma decine e decine di capolavori impreziosiscono le case di molti collezionisti privati che ne sono entrati in possesso pagando a caro prezzo. La sua opera The Outlier del 1909, conservata al Brooklyn Museum, è stata utilizzata da Fabrizio De André per la copertina del suo album del 1981, ufficialmente senza titolo e conosciuto come l'indiano.





mercoledì 19 novembre 2014



La bibbia al Neon - John Kennedy Toole

“ …E così adesso sono su questo treno. E’ appena spuntata l’alba….Qui siamo in pianura. Adesso che è chiaro vedo che da queste parti non c’è neanche una collina. Non ho mai visto una pianura e mi chiedo che effetto faccia viverci. Io sono abituato a vedermi intorno le colline e i pini, ma qui non ci sono né pini né altri alberi alti, soltanto degli alberi bassi e come appiattiti, che di certo non ondeggiano al vento”


C’è un ragazzino sensibile e sognatore che cresce in un piccolo villaggio sonnolento, bigotto e crudele, nella profonda provincia rurale americana. Ha un occhio osservatore e una particolare propensione ad accettare in maniera quasi impassibile ogni evento, comprese le tante difficoltà che si abbattono sulla sua famiglia.
Il padre che perde il lavoro e diventa violento, l’arrivo in famiglia dell’eccentrica zia Mae che, accompagnata dalla fama di cantante, riesce a dare scandalo nel piccolo paese in mano ad un pastore bacchettone e retrogrado. Una comunità di moralisti che fa ricadere automaticamente il biasimo per la zia sulle spalle di David, vittima persino delle angherie della maestra, moglie del pastore. Eppure il ragazzo continua la sua vita, consapevole dell’ipocrisia imperante, ma scegliendo di attraversare le difficoltà in silenzio od almeno così appare…


Opera giovanile di John Kennedy Toole, che scrisse questo libro a soli 16 anni, si avete letto bene, a  sedici anni La Bibbia al neon ha dovuto aspettare più di quarant'anni per uscire dal cassetto in cui era stato confinato.
Dopo dieci anni infatti Toole scrive il suo secondo romanzo Una banda di Idioti cercando a lungo di far lo pubblicare, ma senza successo. Ben otto editori rifiuteranno il testo, nessuno o quasi sembra accorgersi della sua genialità. Ignorato e snobbato dalle case editrici, imprigionato nel tragico ruolo di genio incompreso, cadde in depressione.
Fu probabilmente quella situazione di isolamento che lo spinse al suicidio a soli trentadue anni nel 1969.
Se non fosse stato per la testardaggine della madre dell'autore che cominciò a far leggere il manoscritto del romanzo ad editori  e a professori universitari, probabilmente tutto sarebbe caduto nel dimenticatoio.
A scoprire la grandezza di Una banda di idioti fu il grande scrittore Walker Percy (L’uomo che andava al cinema), che contattato telefonicamente dalla signora Thelma Kennedy Toole nel 1976, accettò di leggerlo, non senza perplessità.
Si rese conto di avere tra le mani un grande romanzo, che ribaltava i valori della letteratura americana degli anni '50 attraverso l'ironia e il gusto del grottesco. Una volta dato alle stampe, il successo di questo libro non conobbe fine, tanto che nel 1981 vinse il Premio Pulitzer alla memoria.


Poco prima di morire la madre, frugando tra le carte del figlio, trova il manoscritto che l’autore non considerò mai abbastanza valido da chiederne la pubblicazione, La bibbia al Neon. 
E’ convinta di avere tra le mani un nuovo capolavoro. Ormai vicina alla fine, affida il destino del libro ad un amico, ma il testo resterà bloccato fino al 1989 a causa di una disputa legale con gli eredi di Thelma.
John Kennedy Toole ci ha lasciato in eredità queste pagine straordinarie, che per la loro potenza e lucidità costituiscono la testimonianza di un autentico, fottuto genio della letteratura americana.
 

“ Quando nel mondo appare un vero genio, lo si riconosce dal fatto che tutti gli idioti fanno banda contro di lui”.


lunedì 17 novembre 2014



The Dark Valley

 


Adattando un romanzo scritto da Thomas Willman, il regista Andreas Prochaska ha cercato di unire nel suo nuovo film The Dark Valley più elementi e tematiche, riuscendo a confezionare un'opera originale dall'aspetto visivo affascinante.


Fine del diciannovesimo secolo. In un tranquillo villaggio adagiato ai piedi delle Alpi fa il suo arrivo uno straniero di nome Greider (Sam Riley). Per sfuggire al freddo inverno, l'uomo chiede alla gente del luogo un posto dove pernottare. E dal momento che può offrire solo alcune monete d'oro, lo indirizzano dalla vedova Gader e dalla figlia Luzi, che è in procinto di sposarsi. Dopo una lunga nevicata notturna, uno dei figli del capo del villaggio viene trovato morto. Sorgono dei dubbi sul fatto che si tratti di un incidente ad essere sospettato è subito Greider. Tuttavia, si comincia a credere anche che dietro l'incidente possa esserci un vecchio e oscuro segreto.

Trasformando i brulli e desertici canyon della tradizione con le innevate vette delle alpi al confine tra Austria e Alto Adige, il regista riesce a costruire bene l'atmosfera claustrofobica ed emotivamente opprimente che anima la cittadina al centro degli eventi, e l'espediente dello straniero arrivato da lontano che spezza l'equilibrio viene sviluppato con cura e attenzione. 
Un lungometraggio dall'atmosfera tesa e una suggestiva fotografia che enfatizza la bellezza dei luoghi.


mercoledì 12 novembre 2014



 Townes Van Zandt


L'impronta lasciata da Townes Van Zandt sul terreno del songwriting, texano in particolare e nord americano in generale, è davvero importante. Van Zandt incarna un archetipo di folksinger dove radici country e blues s'innestano nella figura del 'loner'. Legato a Lightnin' Hopkins, innamorato del talkin' blues, narra le sue storie fatte di immagini quotidiane, con una strumentazione essenziale, arrangiamenti lievi, a volte asciutti, scarni,  ma i risvolti emotivi e lirici della sua musica e della sua poetica, pure attraverso elementi così rigorosi, colpiscono profondamente.

   
Townes Van Zandt nasce a Fort Worth, Texas, nel 1944. Il padre, uomo d'affari nel settore degli oli lubrificanti, gira l'America per lavoro e la famiglia lo segue: Colorado, Montana, Minnesota, Illinois prima di tornare in Texas. Van Zandt si divide fra Houston e Austin.
Le prime apparizioni in pubblico risalgono alla metà degli anni '60, i clubs si chiamano Sand Mountain, Jester Lounge e Old Quarter dove spesso suona insieme al suo amico Guy Clark. La scrittura folk, influenzata da Hank Williams, Lefty Frizzell (la più bella voce della storia della musica country) e dal bluesman texano Lightnin' Hopkins (del quale conserverà parecchi classici in repertorio) rispecchia il suo carattere schivo e riservato ma lascia spazio anche a visioni solari e positive. Dal 1968 -anno di pubblicazione di For The Sake Of The Song-  al 1973  registra sei dischi, tutti per la Poppy Records. Sarà l'unico periodo in cui inciderà regolarmente album di studio, certamente il  più importante dal punto di vista musicale insieme al biennio 1977/1978. Il suo talento si è orientato definitivamente verso una poetica malinconica e disillusa tratteggiata delicatamente su un tessuto sonoro che tinge di blues il country texano, talvolta arricchito da atmosfere 'border' (esemplificate ad esempio in Poncho & Lefty) e da sobri arrangiamenti che attribuiscono alla sua musica un lirismo ed un pathos indiscutibili. Illuminanti in questo senso High, Low And Between (1972) e The Late Great Townes Van Zandt (1973).


Townes Van Zandt è ormai considerato in Texas come il punto di riferimento di quella corrente  di cantautori che comprende fra gli altri i vecchi amici Guy Clark e Jerry Jeff Walker, Willis Alan Ramsey e Ray Willie Hubbard. Abita in mezzo ai boschi in una casa di legno da lui stesso ristrutturata ma la sua esistenza è segnata da continue crisi depressive che lo portano a tentativi di suicidio, dall'alcolismo e dall'uso di droghe. Nel 1976 Emmylou Harris include Poncho & Lefty nell'album Luxury  Liner (la stessa canzone nel 1983 sarà n. 1 delle classifiche country nell'interpretazione di Willie Nelson e Merle Haggard) ed il  nome di Van Zandt inizia a girare con una certa insistenza anche fuori dai confini degli States senza tuttavia mai conoscere il successo commerciale.
Tre anni di inattività prima di tornare al lavoro per merito di John M. Lomax III, suo manager dal giugno del 1976, che gli restituisce fiducia e stimoli. Townes Van Zandt si sposta a Nashville, firma per la Tomato Music Company, etichetta indipendente di NewYork,  e nel luglio del 1977 realizza Live At The Old Quarter, Houston, Texas doppio album completamente acustico registrato nell'estate del 1973. Il disco è  la summa delle sue esperienze artistiche che lo consacrerà definitivamente come uno dei più grandi e rispettati folksinger della sua generazione. Sogni, visioni, dolci ballate, talking blues si alternano legati da un sottile sense of  humor in un coinvolgente dialogo con il pubblico.


L'anno successivo Van Zandt rientra in sala per registrare il suo più bel disco di studio Flyin' Shoes. L'album, inciso a Nashville, è splendidamente prodotto da Chips Moman. L'ineccepibile lavoro degli strumentisti, scelti personalmente da Van Zandt, gli arrangiamenti delicati e fluidi, la voce evocativa e ispirata regalano un suono carico di dolcezza e sensibilità che si distende in canzoni indimenticabili.
Durante gli anni '90 la sua discografia si arricchirà soprattutto di album live (non tutti imperdibili) segno inequivocabile del sopravvento dei demoni che lo hanno continuamente perseguitato, sulla sua vita interiore. Del resto gli spettacoli dal vivo saranno in questi tempi la sua principale fonte di sostentamento economico.
Van Zandt muore tragicamente d'infarto il primo giorno del 1997 nella sua casa di Mt. Juliet nel Tennessee (per uno strano caso lo stesso giorno, nel 1953, era scomparso uno dei suoi idoli, Hank Williams).
Un suo degno discepolo può cessere considerato Steve Earle che a proposito di Townes si è espresso in questi termini:"Townes Van Zandt is the best songwriter in the whole world and I'll stand on Bob Dylan's coffee table in my cowboy boots and say that".



lunedì 10 novembre 2014