martedì 24 febbraio 2015

Milton Mezzrow - Ecco i blues





Il Sassofono l’ho imparato a suonare nel riformatorio di Pontiac. Pontiac era chiamata  “la scuola”, perché accoglieva solo ragazzi; io ne ho frequentate di scuole del genere, scuole che non si trovano mai elencate nella lista dell’associazione dei genitori e degli insegnanti. Tre prigioni e le più svariate sale da gioco furono le mie scuole medie; il bordello fu l’università, e la laurea l’ho presa fra la taverna, la sala di ballo ed altri luoghi non ben visti dalla legge. Pontiac, dunque , non è stata che l’asilo per me”. 

Negli scaffali polverosi di un negozio di libri usati un giorno mi sono imbattuto nell’autobiografia di Milton Mezzrow, ebreo russo cresciuto nella Chicago di inizio secolo. Sassofonista e clarinettista,  ricordato  soprattutto per aver dato vita ad alcune storiche registrazioni jazz e per la sua lunga  amicizia con Louis Armstrong, al quale per un periodo fece anche da manager.
Oltre ad esser stato un valente jazzista, Mezzrow diventerà famoso nei bassifondi di Chicago come spacciatore di marijuana, tanto che la parola “Mezz” diverrà ben presto il termine slang per indicare il suddetto stupefacente. Erano anni in cui marijuana ed oppio, soprattutto tra i musicisti, circolavano parecchio. 


Questo libro rappresenta l’attestato formale di nascita del Jazz, la testimonianza diretta di uno dei protagonisti che ha visto compiersi la prima grande rivoluzione della storia della musica. Certamente Mezzrow c’è stato dentro, si è sporcato le mani, ha assorbito mentalità, idee, meccanismi, atmosfere. Un vero romanzo di formazione, un’autobiografia legata alla “cattiva strada”, in cui  traspare la cultura Americana dell’epoca. Un libro duro, nudo e crudo, avvincente perché vero. La rabbia del Jazz, la malinconia, l’entusiasmo. Un caleidoscopio di prigioni, improbabili locali, spacciatori, prostitute, Jazzisti maledetti.


“ … Adesso, qualche volta, quando suono quei dischi, e chiudo gli occhi, e mi faccio dominare da quegli strani lamenti, comincio a piangere e mi dico: amico, forse ce l’hai fatta, forse questa è vera musica. E mi metto a pensare che un giorno o l’altro il caro e vecchio Louis, il magnifico Louis Armstrong, udrà questa mia musica e allora capirà come e per che cosa io abbia combattuto tutti questi anni, e forse la nostra antica amicizia tornerà ancora a brillare. E quando creperò non voglio che nessuno porti il lutto per me. Prendete il mio corpo, mettetelo in una fornace, e quando sarò ridotto a un pugno di cenere, prendete questa cenere e fatela fondere con un po’ di cera e fatene un disco che rechi l’etichetta “King Jazz”. No, non scriveteci sopra “D.A” (tossicomane), scriveteci semplicemente ”qui giace Mezz, finalmente a casa”. E su una faccia incidete “Gone Away Blues”, sull’altra “Out Of The Gallion”, e poi speditelo ad Harlem, datelo a qualche moccioso monello che non abbia i soldi per entrare all’Apollo a comprarsi un bicchiere di birra. Si metterà a suonare quel disco e continuerà a suonarlo, una due tre volte, finchè non l’avrà spezzato".                                                                                                                    
 Milton “Mezz” Mezzrow

domenica 22 febbraio 2015

Judy Henske






Soprannominata "la Regina dei Beatniks,Judy Henske, cantautrice americana,  fu scoperta da Jac Holzman, capo dell'Elektra, a New York, quando frequentava il Greenwich Village.
La sua voce così potente da far venire la pelle d’oca (Billie Holiday, Bessie Smith) e la sua personalità dirompente, l’hanno resa un classico esempio di talento non corrisposto al successo.


Il suo album di debutto risale al 1963 per poi far  uscire nello stesso anno "High Flying Bird", uno dei primi dischi folk in assoluto a utilizzare una sessione ritmica.
Dopo gli esordi come musa folk nei locali di San Diego, pubblicò un disco di  psichedelia "Farewell Aldebaran" (1969) e quindi si ritirò a vita privata già nei primi anni Settanta, anche se continuò a scrivere canzoni.



Negli anni novanta torna sulle scene e pubblica altri due album Loose In the World (1999) and She Sang California (2004) ed è apparsa nel documentario tributo a Phil Ochs.
Ora la cantante abita a Pasadena, e di tanto in tanto si esibisce ancora in compagnia del marito, Craig Doerge.


sabato 14 febbraio 2015



Dave Van Ronk


Dave Van Ronk ha vissuto tra una nave da carico mercantile e un viaggio in macchina con le mani gelate, tra un palco e lo sgabello di un pub, tra un circolo politico e un parco in cui mettersi a cantare a squarciagola.
Il suono è quello di una generazione che vedeva le cose in un certo modo, che sentiva la grandezza della tradizione popolare dei propri nonni, come un patrimonio da riproporre nelle canzoni che portavano i ricordi e gli odori di terre lontane.


Lo stile è quello di un uomo che ha passato la vita intera su di un palco a cantare di storie, di vite, di feste. La storia è quella di qualcuno a cui, “chissà perché, offrono sempre da bere una birra e mai da mangiare qualcosa”.

Dave Van Ronk nasce il 30 giugno del 1936 a New York, nel quartiere di Brooklyn. Trasferitosi, a quindici anni, nel Queens inizia a suonare nel Barbershop Quartet, un quartetto che è solito esibirsi all'interno degli esercizi dei barbieri. Lasciata la scuola prima di concludere gli studi, si barcamena tra le vie di Manhattan per qualche anno, spostandosi poi nel Greenwich Village, non lontano da casa. 


Dopo una breve esperienza a bordo di navi della marina mercantile come marinaio, si esibisce nella Grande Mela al seguito di orchestrine jazz tradizionali. Nel giro di breve tempo, tuttavia, Dave Van Ronk preferisce orientarsi verso il blues, che anni prima aveva ascoltato direttamente da artisti come Mississippi John Hurt e Furry Lewis.
Divenendo sempre più conosciuto grazie a uno stile interpretativo molto personale, in virtù dell'accompagnamento con la chitarra acustica, nel 1959 ha l'opportunità di registrare, per l'etichetta Folkways Records, il suo primo disco, intitolato "Sings ballads, blues & a spiritual". 

Nel corso degli anni Sessanta Van Ronk diventa un sostenitore del movimento orbitante nell'area della sinistra radicale a supporto delle cause per i diritti civili.
In quegli anni pubblica, tra l'altro, "Dave Van Ronk. Folksinger", "Inside Dave Van Ronk", "No dirty names" e "Dave Van Ronk and the Hudson dusters". Coinvolto suo malgrado, alla fine del decennio, nei Moti di Stonewall, viene arrestato e messo in carcere per un breve periodo. Uscito di prigione, torna in sala di registrazione, con "Van Ronk" e "Songs for ageing children". 


Nel 1974 prende parte a un concerto, insieme con Bob Dylan, Arlo Guthrie e Pete Seeger, organizzato da Phil Ochs per sostenere i rifugiati politici cileni in seguito al colpo di stato di Augusto Pinochet. Successivamente  la sua produzione si dirada. Nel 1985 gli viene assegnato il Premio Tenco alla carriera, dà alle stampe "Going back to Brooklyn". 


All'età di 65 anni, il 10 febbraio del 2002 Dave Van Ronk muore a New York, a causa di un'insufficienza cardiopolmonare, dopo essersi ammalato di cancro al colon: non fa in tempo, a concludere il libro di memorie che in quei mesi stava scrivendo insieme con Elijah Wald, intitolato “Il sindaco di MacDougal Street"(come era soprannominato), che verrà pubblicato postumo tre anni più tardi. Al Village, una parte di Sheridan Square viene rinominata nel 2004 Dave Van Ronk Street in sua memoria.
Nel 2013, i fratelli Coen presentano al Festival del Cinema di Cannes il film "Inside Llewyn Davis", che vede come protagonista un cantautore folk evidentemente ispirato a Van Ronk, protagonista eccezionale e indimenticato del Village newyorkese a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta.



martedì 10 febbraio 2015



C.W Stoneking - ''Jungle Blues''

 

Dire che l’australiano C.W Stoneking nella sua vita ne ha fatte e viste di tutti i colori non è affatto un esagerazione. Arriva in giovanissima età nella terra dei canguri con la famiglia proveniente dagli Stati Uniti e lì inizia presto a suonare blues per le strade di Melburne. Per un certo periodo vive anche con gli aborigeni e nel 1998, come se non bastasse, è superstite di un naufragio a largo della costa dell’Africa occidentale. Ispirata in parte da queste incredibili esperienze la sua esoticissima ''jungle music'' o ''Jungle Blues'' che poi è anche il titolo del suo ultimo album pubblicato dalla King Hokum, rivisita e rinvigorisce il cosidetto pre-war blues, il jazz di New Orleans, l’hillbilly, il calypso (che da buon viaggiatore apprende direttamente a Trinidad) e in generale tutti i suoni degli anni 20 e 30.


 Accompagnandosi con la sua fedelissima chitarra National Reso-Phonic (o dal banjo) Stoneking cattura l’immaginazione con la sua voce lamentosa e nostalgica e con narrazioni vivaci.

Collaudato dalla stupefacente banda “Primitive Horn Orchestra” (tuba, trombone, cornetta, contrabasso e batteria) l’australiano snocciola i suoi Hokum (tecniche di intrattenimento musicale divertenti che si basano su monologhi e dialoghi incentrati sull’equivoco e su simpatici doppi sensi, ma anche sulle disavventure e le disgrazie della vita) e i suoi esotici Jungle che rimandano immediatamente a figure storiche come Cab Calloway (''Jungle Lullaby''). 


La musica sembra continuare a gracchiare in sottofondo come se uscisse da qualche vecchia registrazione impolverata, tanto che verrebbe voglia di chiedersi tra lui e il blues chi dei due abbia trovato chi. 
Ma in fondo, a pensarci meglio che importanza può avere se sei bianco o se sei nero, se vivi in Australia o a New Orleans, se lo fai nel 1927 o nel 2015 quando ti chiami C.W. Stoneking e hai il blues nel sangue?



Russell Lee

(Ottawa, 21 luglio 1903Austin, 28 agosto 1986) è stato un fotografo statunitense, conosciuto principalmente per il suo lavoro per la Farm Security Administration e le sue immagini eccellenti documentanti l'etnografia di varie classi e culture americane.