mercoledì 30 marzo 2016

Il cantautore dei contadini e dei migranti






Le ragazze che fanno la fila per essere prese a giornata al mercato di Porta Palazzo, l'uomo che tende la mano al semaforo per chiedere l'elemosina, i seminatori di grano venuti per lavorare, migranti di ieri e quelli venuti in una barca scura, migranti di oggi. E poi il muratore che ha lavorato tutta la vita alle case degli altri e tutta la vita ha sognato "una casa in collina" e gli amanti di Roma "che sono tanti ma quanti, chissà". E' questa l'umanità raccontata da Gianmaria Testa, cantautore piemontese, morto oggi dopo una lunga malattia. Aveva 57 anni. Aveva lasciato un impiego sicuro nelle ferrovie, era capostazione, per la musica, ma a quel mondo delle sue origini, quella delle campagne del cuneese dove era nato in una famiglia di agricoltori, aveva continuato negli anni a dedicare canzoni, molte anche in dialetto. Amato molto in Francia si è esibito varie volte all'Olympia di Parigi, vero tempio della canzone. Da sempre impegnato sul sociale, nel 2006 Testa aveva dedicato un intero album Da questa parte del mare, ai migranti di ieri e di oggi.


Per anni aveva fatto convivere la sua professione di impiegato delle Ferrovie con quella del musicista poi la scelta di dedicarsi interamente alla musica. Nel 2000 l'album Il valzer di un giorno, il primo interamente di produzione italiana, è stato un grande successo. Nonostante la sua struttura essenziale, voce e due chitarre soltanto, venne accolto molto bene sia dalla critica che dal pubblico, uscendo poi l'anno successivo anche in Francia e nel resto d'Europa. Ad oggi ha superato le 200 mila copie vendute in tutta Europa. Moltissime le collaborazioni con altri musicisti italiani del jazz e del folk: da Gabriele Mirabassi e Enzo Pietropaoli a Paolo Fresu; da Rita Marcotulli a Riccardo Tesi; da Enrico Rava (insieme al quale ha presentato con grande successo Guarda che luna!, spettacolo dedicato alla figura di Fred Buscaglione che ha visti protagonisti, oltre a loro, la Banda Osiris, Stefano Bollani, Enzo Pietropaoli e Piero Ponzo) a Mario Brunello.


Negli ultimi anni si era molto dedicato agli ascoltatori e lettori più piccoli collaborando con la casa editrice Gallucci; nel 2012 aveva pubblicato Ninna Nanna dei sogni, una canzone-favola per grandi e piccini illustrata dalle poetiche tavole di Altan. Nel maggio 2013, l'uscita di un secondo libro-disco, sempre edito da Gallucci, ma questa volta illustrato da Marco Lorenzetti: 20 mila Leghe (in fondo al mare). Alla fine del 2013 la versione francese della Ninna Nanna dei sogni: Berceuse des rêves, il titolo, con le illustrazioni di Marina Jolivet; e una nuova pubblicazione per bambini, con i disegni di Altan, tratta dalla sua canzone Biancaluna (maggio 2014).
Uscirà il 19 aprile per Einaudi il libro- testamento dell'artista Da questa parte del mare, un viaggio struggente, per storie e canzoni, sulle migrazioni umane. La prefazione di Erri De Luca suona come un addio all'amico: "Ciao socio, compare, fratello che non mi è capitato in famiglia e che ho cercato intorno, grazie di accomunarmi al libro della tua vita, che non è un'autobiografia ma una multibiografia di persone e di luoghi, dove sei anche tu".


lunedì 28 marzo 2016

Margareth Bourke-White





Nacque nel Bronx il 14 giugno 1904, figlia di Joseph White, inventore e naturalista e Minnie Bourke; avviata agli studi di biologia frequentò, ancora studentessa del college, alcuni corsi di fotografia.

La carriera professionale inizia nel 1927. All'età di vent'anni iniziò a scattare fotografie industriali. Nel 1929 si compie la svolta professionale. Conobbe Henry Luce, caporedattore di Time, che la invitò a trasferirsi a New York per collaborare alla fondazione di una nuova rivista illustrata: Fortune.

 


Erano gli anni della Depressione e dell'importante campagna fotografica della Farm Security Administration e anche la Bourke-White con il futuro marito, lo scrittore Erskine Caldwell, intraprese un viaggio di ricerca e documentazione sociale nel sud, che sfociò nella pubblicazione del libro You Have Seen Their Faces. La fotografia della Bourke-White fu emblematica sia per i contenuti che per lo stile. Fin dagli inizi, la sua carriera abbracciò la visione moderna tipica di quegli anni, di un mondo dominato dalla fede nel potere della macchina e della tecnologia.


La primissima pubblicazione della rivista Life, del 23 novembre 1936, le dedicò la copertina. Era uno scatto dei lavori finiti (grazie al New Deal) della diga di Fort Peck, nel Montana. Un'immagine che fece il giro del mondo e che segnò un punto di svolta della professione del fotografo nell'universo femminile.

 


Da quel momento Margaret Bourke-White iniziò un'assidua collaborazione con la prestigiosa rivista e copre reportages dalla Seconda Guerra mondiale, all'assedio di Mosca, dalla guerra in Corea, alle rivolte sudafricane. Al fotogiornalismo la Bourke-White dedicherà la maggior parte della sua carriera.


Fu con il marito in Russia nel '41, quando venne invasa dai nazisti (la Bourke-White fu non solo l'unico fotografo americano testimone dell'evento, ma anche il solo fotografo straniero a Mosca).


Grazie all'intervento di Roosevelt scattò il primo ritratto non ufficiale di Stalin, anche l'unico per molti anni, con circolazione autorizzata al di fuori dell'URSS. Nel '43 fu la prima donna ad accompagnare i caccia americani che bombardavano e fotografò quello che fu uno dei più violenti attacchi all'esercito tedesco.

 


A seguito del reggimento americano, fotografa gli assedi della linea gotica (pressi di Monzuno e Livergnano nell'Appenino Emiliano)[4]. Entrò a Buchenwald il giorno dopo la liberazione dei prigionieri e fece parte del gruppo che scoprì, prima ancora dell'esercito, il campo di Erla. Nel '52 capì per prima i tragici risvolti della guerra di Corea.



Nel '53 le venne diagnosticato la malattia di Parkinson. Quando nel '59 non fu più in grado di lavorare, si sottopose ad un intervento chirurgico al cervello che fu documentato sui giornali. Da quel momento ridusse drasticamente l'attività di fotografa e si dedicò alla scrittura. L'autobiografia Il mio ritratto, venne pubblicata nel 1963 e fu un bestseller.


Dopo una caduta nella sua casa di Darien, nel Connecticut, morì il 27 agosto 1971, all'età di 67 anni.






domenica 20 marzo 2016

Frank Proffitt






Originario del Tennessee (Lauren Bloomery), Frank Proffitt (1913-1965) è stato un banjoista Old Time famoso,  virtuoso di fretless banjo e dulcimer.
Ha svolto molti lavori tra cui il coltivatore di tabacco, falegname e liutaio.
E'stato la figura chiave che ha ispirato tra il 1960 ed il 1970  (folk revival) molti musicisti ha suonare il banjo.
 Il suo nome rimane legato anche alla ballata Tom Dooley che imparò da sua zia la cui madre conobbe i due protagonisti della tragica vicenda. 


mercoledì 16 marzo 2016

C. W. Stoneking - Gon' Boogaloo





Ci ha messo sei anni C.W. Stoneking per mettere insieme il suo nuovo album, seguito ideale dell’acclamato Jungle Blues dal quale desume lo stesso scenario,riferendosi ad un genere come il boogaloo, fusione tra la musica afroamericana popolare e i ritmi Cubani, una veracità fuori dal tempo che il nostro cerca di restituire per tutte le dodici tracce dell’album, registrate live in due giorni senza nessun tipo di overdubs e infilando due microfoni in un Ampex 351 dopo aver posizionato la band in studio in modo da ottenere un suono il più possibile vicino a certe registrazioni live degli anni ’50.



Il set è costituito da batteria, contrabbasso, la chitarra amplificata di C.W. e quattro vocalist sgangherate. Il suono chitarristico a differenza dei lavori precedenti è affidato ad una Fender Jazzmaster, con quel suono così amato dai surf rockers fine cinquanta e che C.W. rende ancora più sferragliante, quasi si trattasse di un Marc Ribot essenziale e primitivo.

Le radici sono sempre quelle: blues, ragtime, gospel, boogie, calypso, rock’n’roll primordiale, folk delirante e sudicio reso apparentemente più morbido dalle vocalist che al repertorio in stile del nostro oppongono un contrappunto quasi twee pop. È come sentire un Tom Waits sgangherato cimentarsi con il repertorio di Tenneesee Ernie Ford, Sam Cooke e le Shirelles per contaminarlo con la tradizione Americana.



Gon’ boogaloo passa dalla forma spoken di How long, atterra sul gospel danzereccio di Get on the floor, giunge alla forma tra jive e pop spectoriano di Good luck charm per poi giocare con il trascinante Jangle della title track.

Il blues di C.W. Stoneking si complica, va avanti, procede sulla stessa strada sporca delle origini ma osa contaminare più generi in quello che probabilmente è il suo album più vivo e divertente.